Faster, RadioCarlonia, Kill! Kill!


La necessità di andarsene via è soffocante, e si prova a farlo silenziosamente, sull’incedere di arpeggi matematici che si intersecano ad un drumming soffice e ad arabeschi di archi tinti di inchiostro, perché sarà pure il posto più bello sulla terra, ma, come sussurra Jeff Mueller con la più crudele dolcezza, “La tua ora è venuta/Il tuo giorno è finito”. Tuttavia, che si provi a fuggire da una relazione putrescente o dalla provincia più profonda, quel bridge alla Slint che dividono uno split con i Faith No More, presagisce plumbeo l’irrisolto tornare sui propri passi.  Rimane il dubbio di dove i June of ‘44 volessero andare. Magari in India, apertura col botto dell’esordio su lunga distanza degli Psychedelic Furs. Le ariose tastiere, pura essenza anni ottanta, vengono messe subito in disparte dal prepotente giro di basso, che fa scattare come una molla e trascina in una danza epilettica, mentre la voce di Richard Butler, la chitarre di John Ashton e il sassofono di Duncan Kilburn gettano colate corrosive sui nostri nervi. [New Wave + terra  di ispirazione per Kipling] = [associazione di idee inevitabile X coinvolgimento dei belgi The Names]. Stelle minori del post punk, devoti, spesso in maniera calligrafica, ai Cure e al Manchester sound degli eighties, vanno riscoperti almeno per questa scintillante Calcutta, ritmiche agili in mezzo al caos del traffico delle strade affollate di vecchi veicoli, di cenciosi mendicanti e di santoni predicanti, e una sei corde che echeggia come l’esplodere di mille cristalli, mentre il chorus, tronfio di Flanger e delay, anela, disperato e catchy al tempo stesso, alla pace dell’annegato.
Ed è sulla rive di un fiume di una grande città, Calcutta, Roma, Londra o Parigi, fate voi, che si consuma, ignorata dai passanti, sommersi nei propri pensieri, la Sad Love Story del duo brookoliniano Live Footage, il cui primo LP autoprodotto (Willow Be) solo per una tarda scoperta da parte mia non è finito dritto dritto nella top 5 del 2010. Trattengono a fatica le lacrime i due amanti, mentre, stretti nel loro cappotti neri, si allontanano dandosi le spalle. E più la distanza aumenta, più i fotogrammi dei momenti felici si consumano accartocciandosi, e, amplificati dallo scontro di batteria e violoncello - che si suonano l’una contro l’altro – rabbia e vuoto si fanno largo nei cuori straziati. Recuperateli. Subito.
L’indifferenza di chi scivola veloce, facendosi i fatti propri è destinata ad infrangersi nella Sister degli anarchici olandesi The Ex, quando l’involontario spettatore è bloccato ad un angolo della strada, mentre una manifestazione è brutalmente soffocata dalle forza del (dis)ordine. Quello che incomincia come una mera descrizione degli eventi si tramuta in una brutale presa di coscienza, sotto i colpi ordinatamente caotici e quadrati degli strumenti che rievocano il calare dei manganelli sui corpi dei caduti e montano e montano fino a soffocare la voce stordita di G.W. Sok.
Altro escluso di peso nella classifica di fine anno di RadioCarlonia, è il nuovo album del collettivo The Black Angels. Fortemente ispirati dalla psichedelica dei sixties, i texani sono i discepoli di un Bobby Beausoleil cresciuto alla Factory e imbottito di Mescalina. Nel terzo pregevole lavoro, qualche volte si fanno prendere bene i propri eccessi, aprendosi a soluzioni più distese e garage. Non è il caso di questa maligna River of Blood, da consumarsi durante un propiziatorio rituale di sangue per una proiezione massonica di una qualunque pellicola di Kenneth Anger.
Si rimane su sonorità psicotroniche con la lunghissima Coogan’s Bluff dei The Heads, da oltre quindici anni alfieri di uno stoner tirato e senza compressi. Difficile rilassarsi con loro, anche se la perturbante copertina recita il contrario: una radio crepita qualcosa, quando irrompe un riff di basso macina sassi e i feedback delle due chitarre che non danno tregua per tutto il minutaggio di questa maratona sonica. Stranamente Julian Cope, loro fan, critica questo Relaxing with the heads[1], giudicando il sound engineering troppo pulito (!) e sottolineando come la batteria sia troppo alta. In effetti le liriche di Allen spesso si perdono nel mixaggio, ma ci si guadagna in atmosfere malate e sulfuree.
Comunque, visto il rispetto che nutriamo da questi parti per il druido gallese, gli diamo la possibilità di mostrare un esempio di produzione adeguata con una Like a Motherfucker catturata dal vivo ad un concerto dei Brain Donor. Ce lo immaginiamo il collegiale perfettino Jhonny Greenwood che cammina fischiettando per le strade di Oxford con in mano la mela per la maestre a sottobraccio lo spartito di Just. Peccato che sul suo cammino incontri tre brutti ceffi vestiti come Paul Newman ne Il selvaggio e appassionati di Speed Metal giapponese. Che decidono di fargli il culo e fregargli la faticata tablatura. Il pezzo è – e non ricorda! - la versione estesa dell’intro del brano contenuto in The Bends. Di proprio, questi amanti dell’architettura paleolitica, ci mettono un testo che è concentrato di poesia trobadorica e una marea di assoli burini per andare dal divano di casa vostra al ristorante dall’altro capo della galassia in un batter di ciglia.
Con i piedi ben piantati a terra e uno sguardo, mai nostalgico, rivolto ai gloriosi sessanta, rimangono gli inglesi the Tell Tale Heart.Che nel loro omonimo 33 giri, ci regalano una gemma nuggets style. Faranno pure i duri con la lei che ha osato abbandonarli, ma quell’organo del ritornello ci da pensare che il groppo in gola sia più pesante del previsto…
Nel 1967 Mario Schifano deve essere stato una del centinaio di persone che comprarono il disco con la banana che si sbuccia. E come detto da Brain Eno, decise di formare il suo gruppo. Letteralmente. Ispirato dall’operato di Andy Warhol, ribattezza, con modesto ego, un combo di musicisti ne Le Stelle di Mario Schifano, ne organizza le performance live e ne dipinge la copertina dell’opera prima. Molto Alto sono i VU che si dedicano ad un Krautorock alla matriciana, con tanto di primitivo tambureggiare e con un canto che presagisce le delizie della  fine del mondo. 


Traccia (Gruppo; Album)
 
01.Of Information & Belief  (June of '44; Four Great points)
02.India  (The Psychedelic Furs; The Psychedelic Furs)
03.Calcutta  (The Names; Swimming + Singles)
04.Sad Love Story  (Live Footage; Willow Be)
05.Sister (The Ex; Turn)
06.River of Blood  (The Black Angels; Phosphene Dream)
07.Coogan's Bluff  (The Heads; Relaxing with…)
08.Like A Motherfucker  (Brain Donor; Cope on the Rope, Hammersmith, 2003)
09.Crawling Back To Me  (The Tell-tale Hearts; The Tell-tale Hearts)
10.Molto Alto  (Le stelle di Mario Schifano; Dedicato a)
 



[1] http://www.headheritage.co.uk/unsung/albumofthemonth.php/1331 (tra l’altro il sito contiene una marea di recensioni ad opera di Cope stesso. Consigliato, specie se avete amato “KrautRock Sampler” e “JapanRock Sampler”)

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