Any Dear June


Colonna sonora perfetta per le infami imprese di Big Albert e della sua gang di sciagiurati, la musica di Hugo Race, altro transfuga dalla corte del re inchiostro. Meno raffinato di Barry Adamson, l'australiano condivide con l'ex bassista dei Magazine una passione morbosa per le storie oscure. E se il primo preferisce lavorare di fino con stiletto e rasoio, il secondo ci da allegramente giù di mannaia e martello. Come in questa Makes Me Mean, fumosa ballad da locale di quart'ordine da qualche parte giù al porto, mentre si trangugiano rabbia e bourboun.
Storie per non dormire, ma tanto gente che si da il nome di battaglia di Prugne Elettriche, il sonno non ce lo ha mai avuto. Lo testimonia la celeberrima I had too much to dream, chicchetta gemmata per antonomasia. Jim Lowe canta disteso a pancia in su sul letto, le mani afferranno i bordi in una morsa convulsa, mentre il sudore scivola copioso. Non sono fatte di carne di fanciulla le fugaci visioni che scacciano morfeo, il “pezzo strano” (così la definiscono gli stessi Electric Prunes) è un viaggio sintetico dal quale non si vuole/non si può uscire, e' Wah Wah fatto liquido ed inghiottito con foga dettata dall'inedia di chi non batte chiodo.
La sveglia la danno a calci i Fugazi con Facet Squared. Il riff iniziale dura una battuta meno del dovuto, la batteria parte a cannone per recuperare, ma annichilita dallo scrosciare di accordi e dall'impetuoso declamare di Ian MacKye, decide di starsene buona buona fino al violento vomitare del chourus, mix melmoso di ironia e di disprezzo.
Nella finita-ma-in-continua espansione classifica degli sfigati di talento, ci rientrano benissimo i Sound, che pur meritando di essere ammessi nel gotha della new wave, al pari della Cura o della Divisione della Gioa, all'epoca se li filarono in pochi -oltre al solito John Peel - salvo poi venire scoperti postumi. Troppo tardi, considerando che Colvin “Max” Meyers (tastiere) è già caduto falciato dall'Aids e Adrian Borland (voce e chitarra) ha tentato di sfuggire a sé stesso per l'ultima volta, gettandosi sotto un treno. Missiles, tratta dall'esordio Jeopardy, inizia come plumbea attesa di una tragedia inevitabile, tamburellare di note basse come la pioggia che batte sulle mure del miglio verde, chitarre stoppate per non farsi scopire dalla cattiva sorte, drumming soffice e velato. Ma non serve a nulla, i missili cadranno copiosi, concedendo, generosi, la liberazione della fine, mentre si viene accolti dal deflagare di tastiere e da quella coda elettrica che fa il verso alle urla dei sopravvissuti.
Nel 2009 i Piano Magic fanno uscire un disco meravigliosamente fuori tempo massimo, Ovations, omaggio non troppo velato alla musica di casa 4AD e al post punk in generale. Recovery Position è il canto folle ed elegante al calore bianco di un portatore sano di un virus epidemico, che si muove errando tra un confine ed un altro, sospeso tra i ricordi del passato e l'attesa della gloria imperitura per aver infettato il mondo occidentale.
Piuttosto che vagare nel vecchio mondo, i Dead Meadow preferiscono ciondolare nel deserto, meglio di notte ed imbottiti di sostanze psicotrope, spingendo una vecchia Plymouth che viaggia con il freno a mano tirato di una psichedelia limpida e sorniona.
E chissà tra la sabbia e l'eternità non compaia all'improvviso una Pyramid of the Sun, I Neu scaraventati in un dance floor da nuovo milennio, progressione ritmica che salta sul crescendo delle 6 corde, rallentare stordito e immersione violenta nella profondita della mente a bordo di un sommergibile a propulsione nucleare guidato da un poco rassicurante Holger Czukay, che, mentre investe un neurone dopo l'altro, con in mano una biografia di Stockhausen, vi ripete -ebete- che l'incapacità è la grande madre della creatività. Post rock da ballare mentre si bruciano i pensieri alla velocità della luce.
Magari sul vertice della piramide vi capiterà ascoltare il vento che ascolta, quel suono che inizia come un clangore sconnesso, un giro di basso che sembra capitato lì per caso, ma che finisce per aggrapparsi tenacemente alla mente e alle budella, e sopratutto quegli archi finti che fanno l'eco all'angoscia di chi si ferma dopo una lunga corsa, e si guarda intorno solo per accorgersi di essere solo, finito in mezzo al nulla, mentre gli occhi cercano disperati le luci che rimangono e l'eco delle teste parlanti.
Più rassicuranti le atmosfere stroboscopiche che ci regala la splendida e rotonda venticinquenne Lykke li, con la sua voce maliziosa, sospesa a metà tra Lolita e Holly Golightly, mentre ci trascina sulle pista da ballo di una discoteca gestita da Murakami e dagli Human league con la sua Dance Dance Dance. E chi non muove il bacino, paga da bere.
E Se poi finisce male, bastano due accordi scarnificati, ripetuti con sguardo perso nel vuoto, mentre si snocciola il mantro del dopo sbornia di Monkey 23 che è al tempo resa incondiziata di fronte agli sguardi accusatori e strenua difesa di chi, anche di fronte all'evidenza, non ammette le proprie colpe.
Provate voi a comportarvi bene, riuscitevi voi a non offendere nessuno, con una scimmia sulle spalle...

Compilatio_8 Disponibile qui: http://www.mediafire.com/download.php?38h3j7x8mm862zy

Traccia (Gruppo; Album)

01 Makes me Mean (Hugo Race and the True Spirit; Live)
02 I Had Too Much To Dream last night (Electric Prunes; I had too much to dream last night)
03 Facet Squared (Fugazi;In on the kill taker)
04 Missiles (The Sound; Jeopardy)
05 Recovery Position (Piano Magic; Ovations)
06 Such Hawks Such Hounds (Dead Meadow; Feathers)
07 Pyramid of the Sun (Maserati; Pyramid of the Sun)
08 Listening Wind (Talking Heads; Remaing Lights)
09 Dance Dance Dance (Lykke Li; Youth Novels)
10 Monkey 23 (The Kills; Keep on your mean side)

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