Radio Martello. Radio De Core



Porca trozza come vola il tempo! Un attimo stai sul divano a goderti il counter degli accessi a RadioCarlonia, sognando gli iceberg mentre nel torrido settembre la schiena si scioglie fondendosi sul divano, e un attimo dopo i ghiacci eterni te li trovi fuori dalla finestra. A Roma.
Colpa dei corsi e ricorsi musicali che mi fanno perdere lo zeigest. Come la recente riscoperta in chiave ggiovane del bubblegum rock, con il furioso revival del Phil Spector Sound, le Ronettes nuovo pilastro della terra musicale e tonnellate di copertine dedicate a Vivian Girls, Crocodiles, Dum Dum Girls, etc etc. Combo tanto graziosi, quanto vacui, destinati a durare un battito di ciglia. In tardivo omaggio alla deliziosa e natalizia performance di Kristen Gundred, proprio alle fanciulle Doppio Dum dedichiamo l'apertura del lungo e atteso numero della vostra rubrica DIY preferita. E quindi sulla frizzante e maliziosa Just a creep, tutta coretti e battimano, scorrano i titoli di testa.
Sul palco la signora Dee Dee era accompagnato dal nervoso marito, attuale leader dei coccodrilli, ma con un passato ben più interessante che lo vedeva frontman e sassofonista del gruppo post hardcore the Plot to Blow Up The Eifel Tower, che già dal nome ci stanno tanti simpatici. Nichilisti, provocatori e con una devozione all'hc suonato sulla base di mutanti funzioni logaritmiche: Reich Stag Rock, con la sua rara ed urticante proprietà di fare incazzare tutti, ma proprio tutti, ne è una buona summa.
Ben più credibilità delle battezzate dai Vasilines e compagnia, hanno invece i Veronica Falls. Un esordio che pare prodotto nell'autunno successivo all'estate dei fiori, nella casa losangelina di Morrissey, mentre fuori impera la bufera, si consumano i dischi dei Talulah Gosh e la conversazione telefonica con qualche ormai non più fidanzato/a va e viene . Questi in sintesi la Veronica che cade, che malgrado i moniker rubato a qualche tranvone, confenzionano una chicca come Found in love in the graveyard: se il barometro esistenziale cade a picco, lo si cavalchi almeno con il piglio gagliardo del pompiere in azione che scivola, elegante, sulla pertica.
Quando nasci in un minuscolo paesino della Scozia, battuto dai venti e tormentato dalla pioggia, c'è poco da fare oltre allo sfondarti di Brew Dog, haggis, sostanze psicotrope, Lovecraft, e tanto tanto Krautrock. Sono questi gli ingredienti alla base della miscela dei Cosmic Dead. Avanzare mongoloide e narcotizzante di una batteria suonata da qualche deforme adepto di culti sconosciuti, un riff di chitarre che pare un mantra di un sacerdote dedito ad assistere sul letto di morte il tutto-in-uno Yog-Sothoth e sguarci elettrici che restituiscono in stop motion l'immagine dell'infinita e lenta morte di una divinità folle, eternamente consumata dalle sue stesse cellule che si riproducono impazzite solo per essere fagocitate da altre cellule.
Lo scorso anno ha visto il ritorno di una delle muse di questo blog: PJ Harvey, con il suo J'accuse all'Inghilterra ai tempi della crisi. Polly Jean è una che non sta mai ferma, ogni album un personaggio nuovo da interpretare, cui corrispondono nuove sfide sonore. Dalla sgraziata, cigliotta e tenera riot girl degli esordi, all'inquietante lady in rosso molto blue velvet di To Bring You My Love, dalla maddalena fragile e mac munita di Is This Desire? All'elegante versione rochenroll di sex&the city di Story From the City, Story From the Sea, fino al passo falso del penultimo White Chalk, dove vestita come un'eroina di Jane Austen (da cretina, cioé) e armata di pianola-mobiletto ikea metteva a dura prova gli zebedei degli ascoltatori. Con il recente Let the England Shake, indossa invece la maschera di Guy Fawkes e fa volare l'indignazione su trame scarne da caberet -politico- mittleuropeo, gonfiandole con arrangiamenti ricchi e sopraffini, su cui si libra, come agile pettirosso, la voce, mai ricercata come in questo lavoro. Ne è un esempio The Last Living Rose , con inizio che sembra un pezzo alla Polly Jean di quando se la trapanava il re inchiostro (sempre grande, sempre sia lodato), un giro di chitarra semplice semplice, leggera esitazione nel bridge e esplosione degli ottoni del chorus.
Trae il suo immagnifco immaginario dalle cinematografia italiana più grandguignolesca ed exploitation , il duo (organo e batteria) Cannibal Movie. Ma a differenza di combo come Calibro 35, al prog, preferiscono sulfuree trame ambient psichedeliche, con fughe tetre e doomeggianti. Come in fame, dove agli scellerati gesti antropofaghi fanno eco un drumming secco e martellante e bordate di hammond da scarnificare la pelle.
La rivolta dei freaks incomincia in punta di piedi sulle note della chitarra acustica su cui si innesta il timbro leggermente nasale di Robert Scott, che gentile, impone che tutti i mostri siano liberati. Subito! Rafforza Kaye Woodward , il cui canto va ad intrecciarsi a quello con l'Ex Clean. E poi parte quel riff ,fatto di un pugno di note, che scioglie il cuore. Free all Monsters degli alfieri del kiwi pop The Bats è stata una gradita sorpresa per uno che si avvicina con molta diffidenza ai musicisti che hanno passato gli anta. Che di fronte all'inevitabile passare del tempo, fanno spallucce, si guardano la punta delle scarpe, frugano nel proprio animo, e suonano. Sereni. Certi che saranno qui ancora per molto tempo. Gente tosta i Neozelandesi. Mica come me, che passato alle gioie del cavetto aux, ho deciso di riporre dentro scatoloni destinati alla cantina, pile di compact masterizzati accumulati nel corso di 16 e passa anni. Operazione pericolossima quando sei nell'età di Bridget Jones. Ogni disco, una fitta di malinconia, ripensando a quando approfittavo delle occasioni mondane per convertire i miei amici alle delizie della musica indie. Brindis di Capodanno? Di nascosto infilavo tosto il primo dei This Mortail Coil, che va bene che i prossimi 365 giorni speriamo siano migliori però uno deve essere sempre preparato al peggio. Cocomero e momento pomicione al falò di ferragosto? Fuori il pezzo dell'estate e dentro i Fugazi di On the till taker, perchè rabbia e precisione sono doti fondamentali di ogni uomo che si rispetti, anche negli attimi più intimi. Selezione Latino-americana per zompettare nella frenesia del carnevale maremmano? E io vi impongo Einstürzende Neubauten perché rumore = ritmo, elementare Watson!. In genere le mie selezioni duravano tra i quindici e i venti secondi, prima che la tropa de elite di TV, Sorrisi e Canzoni” ristabilisse l'ordine da classifica R(AI)DS a suon di pizze , calci e ingiurie. Eppure stringendo tra le mani un tdk bianco con scritta a pennarello Wild Mood Swings, ricordo distintamente quell'epica pasquetta del 1998. Deportazione coatta in campagna, salsiccia del discount, vino all'antigelo e immancabile partita di pallone. Mentre si litigava su quale squadre avesse la sfortuna di annoverarmi tra le sua fila (a nessuno piace perdere), sgattaiolavo nei pressi dello stereo alimentato a torcioni e facevo partire i 4.13 secondi di Jupiter Crash. Ininterrotti. Esistono tre scuole di pensiero. Quelli che dicono che i Cure hanno detto tutto con Disintegration, quelli che sostengono che fino a Wish un senso ce lo avevano. E poi una piccola e feroce minoranza, cui orgogliosamente appartengo, che difende a spada tratta i selvaggi cambiamenti di umore.
 
Sarà che ogni volta che lo sento, mi viene in mente la scena di Career Girls con Hannah che di fronte al manifesto di 13th incollato sotto l'insegna del ristorante cinese chiede ad Annie se gli ascolti ancora dopo tanti anni dalla fine dell'università. E quando quest'ultima gli risponde “ancora e per sempre”, piango come un vitello. Sarà che ammiro come Smith, lasciati per strada pezzi da novanta come Thompson e Williams, e con Gallup alle prese con la lotta all'alcolismo, metta insieme un manipolo di riserve (il roadie e un po' bidello Bamonte promosso prima chitarra...) per tenere a galla la ragione sociale e dare allo stampe un disco che, in piena era brit pop, risulta clamorosamente fuori tempo massimo. Sarà che le opere successive con parziale eccezione del nostalgico Bloodflowers, sono il male. Sarà che ha gemme dimenticate o sconosciute ai più come l'incidente di Giove, dove un evento epico (wikipedia time: nei giorni del luglio 1994 dei frammenti della cometa di Shoemaker-Levy 9 si abbatterono sul pianeta che prende il nome dal padre degli dei), attraversa milioni di anni luce e si riduce in piccola disfatta, mandando in bianco il ciccione con il rimmel che , fuoriclasse nerd, decide di cedere alle lusinghe della sua passione astronomica piuttosto che a quelle della ragazza che è riuscito a portare in riva al mare. L'amara consolazione di quelli accordi che ti sussurrano che non importa quanto grande sia la sconfitta subirai, da qualche parte nella galassia ci sarà sempre un pianeta che esplode a rubarti le prime pagine della gazzetta della commiserazione. Grazie Robert, però la prossima volta ci giochi tu a calcio con il severo et violento leprino.
Nella mente di Anthony Gonzalez il figlio di Odino deve essere un personaggio di Tron, che si muove tra corridoi fluorescenti e chiese diroccate, emettendo fulmini al silicio, flirtando con Hela e dando sfogo a tutta la grandeur francese del suo creatore. Che in cambio lo relega al rango di oscura B-Side.
S.P.Q.M83
Chiudamo con la colonna sonora più cool del 2011. Drive OST, naturalmente, che da queste parti assurge di diritto nell'olimpo dei Filmoni.
Allora, Refn va in trasferta negli Stati Uniti e trasforma una pellicola su commissione nell'ennesimo capolavoro. Diviso in maniera manichea in due parti: amore e morte. La prima, resa straniante dal rapporto estremamente pudico tra i due protagonisti. Che si comportano come tredicenni, malgrado pure loro possano, vista l'età, darmi una mano con i cd di cui sopra. E la seconda, pura mattanza che si abbatte su tutto e tutti, compiuta con glaciale soddisfazione dal compiaciuto Ryan Gosling, che non lesina ceffoni neanche alla signorine infami e doppiogiochiste. In quello che doveva essere un blockbuster.
Non lasciatevi ingannare da chi il danese non lo conosceva, da chi si aspettava un Fast & Furios con la sirenetta al volante o dal peggio peggio, dagli onanisti brufolosi, bastian contrari e radical chic. Basta guardare la scena del bacio “più bella degli ultimi anni”(cit.Manlio Gomarasca, Nocturno 113). Ryan Gosling tenta di spiegare alla confusa criceta umana Carey Mulligan, sposata con Oscar Isaac, cosa sia successo. Ovviamente, come in ogni, noir che si rispetti c'è stato un colpo. Ovviamente è andato male. Qualcuno ha tradito, qualcuno ci ha rimesso le penne. Lei lo colpisce con uno schiaffo ed entra nell'ascensore. Lui esita, ma nota che il tizio che afferma di aver sbagliato piano ha una pistola nella giacca. Entra anche lui, dandole le spalle e facendole da scudo dal ceffo minaccioso. Musica minimal elettronica di Cliff Martinez. Con la mano la spinge indietro, poi si gira, l'abbraccia e la bacia. Forse. O Forse no. Perché un attimo dopo afferra la nuca dell'altro uomo e incomincia a batterli la testa sulla parete. Quando crolla, li schiaccia il capo con calci metodici e ritmati. Ogni colpo risuona come un passo in una cattedrale vuota. L'ascensore arriva nel parcheggio. Lei scivola fuori e lo guarda. Lui ricambia con un sorriso a metà tra l'imbarazzato e il divertito. Lei vede un mostro. Noi un dio. One Eye è vivo e massacra insieme a noi.
Adoriamolo tutti con la NightCall ad opera di Kavinsky & Lovefoxxx.

Traccia (Gruppo; Album)

01.Just a Creep (Dum Dum Girls; Only in Dreams)
02.Reich Stag Rock (The Plot To Blow Up The Eifel Tower;Love in The Fascist Brothel)
03.Found Love in a Graveyard (Veronica Falls; Veronica Falls)
04.Infinite Death of The Godhead (The Cosmic Dead; The Cosmic Dead)
05.Last Living Rose (Pj Harvey; Let The England Shake)
06.Fame (Cannibal Movie; Avorio)
07.Free All Monters (The Bats; Free All Monters)
08. Jupiter's Crash (The Cure; Wild Mood Swings)
09.God of Thunder (M83; Dead Cities, Red Seas & Lost Ghosts extended edition)
10.Nightcall (Kavinsky & Lovefoxxx;Drive OST)

Commenti

  1. Io non spenderò mai di amare lo stile di scrittura di Carlo Fontecedro, un vero miracolo dei nostri tempi. Da leggere e rileggere in continuazione.

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